Quando gli influencer mettono a rischio la reputazione dei brand
Una recente ricerca evidenzia come la diffusione di informazioni errate da parte degli influencer possa generare una tossicità online maggiore rispetto agli utenti comuni. Nel mondo dell’influencer marketing, non tutto ciò che brilla è oro: molti brand si sono ritrovati nel bel mezzo di crisi mediatiche e legali a causa di scivoloni comunicativi commessi da influencer. Nonostante la rapida crescita di questa industria, molti aspetti critici sono stati spesso trascurati da accademici e professionisti del settore.
Uno di questi è legato alla disinformazione di marca, ovvero alla condivisione, intenzionale o meno, di contenuti falsi o fuorvianti riguardanti un brand. Questo tipo di contenuti, spesso polarizzanti, alimenta reazioni tossiche nel pubblico, manifestate in commenti negativi o attacchi verbali sui social media.
Disinformazione, viralità e polarizzazione dei contenuti
Gli influencer giocano un ruolo chiave nel complicato ecosistema delle piattaforme digitali, dove i loro guadagni sono strettamente legati all’engagement. È noto che contenuti divisivi e polemici hanno maggiori probabilità di diventare virali, suscitando dibattiti accesi che aumentano l’interazione. Ma gli influencer sfruttano intenzionalmente questa dinamica? E in che modo?
Questi interrogativi sono stati al centro di una ricerca condotta da Giandomenico Di Domenico, Denitsa Dineva (Cardiff Business School) e Federico Mangiò (Università degli Studi di Bergamo), premiata come miglior studio al XXI Convegno della Società Italiana Marketing.
Analizzando più di cento episodi di disinformazione legati a 50 brand e migliaia di commenti su diverse piattaforme social, lo studio ha rivelato che gli influencer, quando condividono disinformazione di marca, generano reazioni più tossiche rispetto agli utenti comuni. Inoltre, il tipo di reazioni cambia in base alla fonte:
- Quando utenti tradizionali diffondono disinformazione, i commenti includono spesso opinioni contrastanti e attacchi diretti.
- Al contrario, quando sono gli influencer a diffondere queste informazioni, le reazioni sono perlopiù uniformi, con la maggioranza del pubblico che supporta la loro visione senza generare dibattiti.
L’effetto delle “echo chambers” tossiche
Gli influencer finiscono per creare delle vere e proprie bolle informative tossiche, spazi virtuali in cui gli utenti, isolati da opinioni contrarie, rafforzano le proprie convinzioni.
Lo studio evidenzia che gli influencer alimentano queste bolle sia amplificando contenuti fuorvianti, sia costruendo legami emotivi forti con i loro seguaci. Questi ultimi si sentono spesso parte di una comunità che condivide una “causa comune”, contrapposta a un “nemico” esterno.
Implicazioni e strategie per i brand
I risultati dello studio non solo arricchiscono il dibattito accademico, ma offrono anche importanti spunti per i professionisti del marketing. Per ridurre la tossicità online e proteggere la reputazione aziendale, è essenziale adottare strategie mirate, tra cui:
- Moderazione attiva dei contenuti: implementare sistemi che limitino commenti tossici e comportamenti dannosi.
- Promozione di dialoghi positivi: interagire proattivamente con il pubblico per incoraggiare scambi rispettosi.
- Linee guida per gli influencer: definire regole chiare per i contenuti e le interazioni online.
- Ripensare l’architettura delle piattaforme: evitare che la massimizzazione dell’engagement favorisca contenuti divisivi.
Collaborazione come chiave per il successo
Un aspetto cruciale è lavorare direttamente con gli influencer per incoraggiare interazioni rispettose e contenuti di qualità. Questo approccio non solo preserva l’immagine del brand, ma aiuta anche a limitare l’impatto delle reazioni tossiche.
Affrontare queste sfide in modo proattivo è fondamentale per migliorare le dinamiche sulle piattaforme digitali e proteggere i brand in un contesto sempre più complesso.
Foto di Andre Sebastian su Unsplash